Che aspetto ha il talento? È una frase che abbiamo sentito tutti circolare regolarmente nel mondo aziendale. È un giovane laureato super entusiasta che ostenta una decisa stretta di mano e una laurea a Oxford? Oppure un prodigio nel gioco degli scacchi con una capacità quasi soprannaturale di capire schemi matematici che sfuggono agli altri?

Di recente ho avuto il piacere di incontrare lo psicologo ed ex giocatore di basket NBA John Amaechi OBE, il quale ha dedicato molti anni allo studio della natura del talento. È cresciuto a Stockport, in Inghilterra, dove ha sviluppato la passione per il basket e il desiderio di andare a giocare in America: abbastanza insolito per un bambino del nord dell’Inghilterra alla fine degli anni ‘80. Se da un lato lo incoraggiavano nello sport, gli insegnanti di John gli sconsigliavano di puntare tutto sulle sue ambizioni americane. Ma a metà degli anni ‘90 era già entrato nei Cleveland Cavaliers e stava per iniziare una carriera di alto livello nel campionato USA che è durata fino al 2004.

Con una storia alle spalle di questo tipo, probabilmente non sorprende che avendo studiato psicologia John si è concentrato sullo studio del talento. Egli sostiene che nelle organizzazioni vi sia davvero un punto cieco in questo ambito. Quando si tratta di identificare e coltivare il talento, l’esperienza insegna che le aziende cercano disperatamente l’ultimo pensiero innovativo o le abilità informatiche più smart. Ma John sostiene che troppo spesso “guardano in bocca a caval donato” e non riescono a vedere il talento per quello che è veramente.

Noi di Liberty Specialty Markets abbiamo dato vita a un team fortemente motivato e concentrato. Mi piace pensare che la nostra capacità di individuare il talento ha giocato un ruolo non marginale nel raggiungere questo risultato. Ascoltare John però mi fa porre delle domande. Detto semplicemente, come ricercatori di talenti siamo stati così abili come siamo portati a credere?

Gli psicologi indicano due fattori chiave in grado di minare la capacità di un’organizzazione tanto di coltivare quanto di individuare il talento. Per prima cosa, c’è la convinzione largamente diffusa che la percezione che un individuo ha della propria capacità cresce insieme all’acquisizione di competenze e conoscenze. Purtroppo, spesso non è così. In secondo luogo, abbiamo la tendenza a riconoscere il talento quando ha un aspetto simile al nostro. Questo è estremamente preoccupante se si pensa che in un sondaggio del 2019 di Mercer, società di consulenza in materia di risorse umane e cambiamento, i datori di lavoro hanno indicato il troppo tempo richiesto per coprire i posti vacanti come il principale rischio di capitale umano che correvano le loro attività. Il miglior candidato potrebbe essere sotto il loro naso, ma non riescono a vederlo.

Tutto questo mi ha fatto pensare alla storia di Clever Hans.

Il genio delle scuderie

Nella Germania di fine ‘800, per un breve periodo il talento aveva le sembianze di un cavallo che sembrava in grado di contare:

Clever Hans. Se il suo allenatore gli chiedeva di calcolare quanto fa otto più due, Clever Hans batteva lo zoccolo dieci volte. Impressionante. Per cui folle impressionanti accorrevano per vedere il cavallo compiere prodezze mentali. Anche se non dava sempre la risposta corretta, Clever Hans raggiunse una precisione di circa il 90%.

Diventò così famoso che gli studiosi decisero di analizzare il fenomeno. Dopo attenti studi, emerse che ciò che rendeva Clever Hans intelligente era in realtà la sua capacità di cogliere piccoli segnali non verbali mostrati da chi lo interrogava. Per esempio, alla domanda di calcolare quanto fa cinque più cinque, nel battere lo zoccolo per la decima volta, Clever Hans osservava alcuni gesti inconsci di chi lo interrogava (un sopracciglio sollevato, un leggero movimento della testa) e da lì capiva che non doveva dare ulteriori colpi di zoccolo.

Clever Hans è stato il primo esempio documentato di quello che gli psicologi chiamano l’effetto Pigmalione. Nella mitologia greca, Pigmalione era uno scultore che dopo aver scolpito la statua di una donna bellissima si innamorò di quella statua, alla quale gli Dei diedero quindi vita. In psicologia, l’effetto Pigmalione è un fenomeno documentato nel quale alte aspettative portano a migliorare le prestazioni. Pertanto, se il vostro responsabile vi dice che siete bravissimi e pensa che farete un eccellente lavoro, probabilmente sarà così.

Segnali inconsci

L’effetto Pigmalione è il meccanismo per cui il comportamento inconscio di un responsabile può influenzare significativamente i risultati del suo team. Anche quando un responsabile non dice a un dipendente “Penso che tu sia bravissimo”, più o meno consapevolmente il dipendente può leggere i segnali non verbali e pensare: “Se il mio responsabile pensa che io sia bravissimo, allora lo sono. Per cui devo fare al meglio delle mie possibilità”.

Ma l’effetto Pigmalione ha un lato più oscuro e distruttivo: l’effetto Golem. Un responsabile che a parole dice tante cose positive ma trasmette segnali non verbali che urlano “Penso che tu non stia facendo un buon lavoro”: ed ecco che i risultati del dipendente saranno scarsi.

Già nel 1965 due studiosi fecero un esperimento per analizzare l’impatto che l’effetto Pigmalione aveva sulla classe. Robert Rosenthal e Lenore Jacobsen dissero agli insegnanti di una scuola americana di aver misurato il QI degli alunni nelle loro classi e una percentuale di essi era stata identificata come talentuosa. In realtà, non avevano esaminato nessuno e avevano scelto i cosiddetti “talentuosi” a caso. Dopo un periodo di tempo, gli studiosi tornarono per valutare il progresso degli alunni. Mentre per tutti gli alunni c’era stato un miglioramento, il progresso maggiore era stato di quelli segnalati all’insegnante come talentuosi, anche se dal punto di vista scolastico avevano le stesse capacità dei compagni. Pertanto, la differenza l’aveva fatta il comportamento dell’insegnante nei loro confronti.

Un impatto profondo

Questo fenomeno ha profonde implicazioni per le organizzazioni. Il fatto che ognuno di noi trasmette segnali inconsci che i nostri colleghi interpretano e a cui rispondono potrebbe minare o rinforzare la cultura e i valori che cerchiamo di generare. In questo articolo ho menzionato le errate interpretazioni che possono crearsi per il senso di autostima dell’individuo nel diventare più esperto e qualificato. L’effetto Golem è una delle ragioni che dimostrano che questa convinzione è viziata. Tutta la formazione del mondo e i riconoscimenti per merito possono non riuscire a superare i segnali negativi diffusi da un responsabile insensibile.

Tutti i responsabili assunzioni di Liberty Specialty Markets frequentano corsi di formazione per selezione inclusiva del personale affinché siano a conoscenza delle riflessioni più recenti sui colloqui di lavoro e possano prendere decisioni di assunzione inclusive eque ed efficaci. Invitiamo anche tutti i nostri dipendenti a frequentare corsi di formazione di Inclusive Behaviour (Comportamento Inclusivo) e Courageous Bystander (Spettatore Coraggioso). Avranno così l’opportunità di riflettere su come siamo tutti responsabili di promuovere un ambiente inclusivo, e come esplorare la diversità di prospettive e approcci in un ambiente di lavoro come il nostro. Comprendere l’effetto Pigmalione e Golem rafforza il valore di questa formazione.

L’effetto Pigmalione, insieme a tutte le supposizioni e giudizi di valore che caratterizzano la nostra mente, significa che se ci troviamo di fronte a una persona talentuosa che non incarna il nostro stereotipo dell’aspetto che noi attribuiamo al talento, non riusciamo a riconoscerla. Peggio ancora, mostriamo una serie di segnali che dicono a quella persona che non crediamo nel suo talento. Inoltre, se bombardata di messaggi non verbali negativi da figure autorevoli nella sua organizzazione, quella persona inizia a dubitare delle proprie capacità.

L’occhio di chi guarda

Il talento si presenta in forme diverse. La sfida che le organizzazioni devono affrontare è riconoscerlo e coltivarlo. Clever Hans aveva un talento eccezionale, non solo nel modo in cui il pubblico era stato portato a credere. La sua capacità di interpretare il linguaggio del corpo umano e rispondere era straordinaria, ma una volta smentite le sue famose abilità numeriche scomparve dagli archivi storici e la sua sorte è tutt’ora sconosciuta. La diversità di talento è qualcosa a cui oggi nessuna organizzazione può permettersi di rinunciare. Se c’è una cosa che Clever Hans ci insegna, è che il talento si presenta in qualsiasi forma possibile. La sfida dei datori di lavoro è riuscire a vedere oltre le supposizioni e norme culturali per riconoscere ciò che realmente risiede nel cuore di ogni persona. Certo non è un’impresa semplice, ma sicuramente vale la pena di sforzarsi per conseguirla.